Quel giorno d’estate, quando lo zio Tolomeo se ne andò, il volto di mia zia Clotilde, sua moglie e sorella di mia madre, diventò pallido e lei quasi smise di respirare. Meno male che la zia Cloti si riprese subito e reagì con un prorompente Sei finalmente morto vecchio disgraziato!, lasciando là il medico con la mano tesa, pronto a fare le condoglianze.
«È sicuro, dottore? Guardi che io non voglio entrare in quella stanza e trovarlo seduto sul letto, felice e arzillo, grazie ai miracoli della scienza; quel vecchio aveva le Duracell!», insisteva la zia parlando come una mitragliatrice, carica di una felicità contagiosa, mentre stringeva la mano al medico.
«Più morto di così, impossibile, signora», rispose il medico storcendo la bocca in un mezzo sorriso.
Mai, prima di quella volta, avevo visto la zia Cloti così euforica. Era ringiovanita tutto a un tratto, un sorriso brillante le accendeva lo sguardo e le guance, distese per effetto di un’inattesa giovinezza, un lifting di nuova vita.
Zia Cloti era stata allieva dello zio Tolomeo, che aveva una trentina d’anni più di lei. Lui era un uomo d’intelligenza e cultura meravigliose, accompagnate da un carattere naturalmente ombroso e depresso e con una faccia da bulldog in canile che non riusciva mai a superare i suoi attacchi di panico, le sue nevrosi e ipocondrie varie.
Ora, finalmente libera, zia Cloti rivelava il suo volto di bella quarantenne, con voglia di divertirsi e godersi quel che le rimaneva della vita attiva. Un paio di settimane dopo aver sepolto zio Tolomeo, in fretta e furia la zia ci portò a casa il suo nuovo fidanzato. «Però! Niente male», sussurrò mia madre con la bocca mezza aperta davanti al bel fusto palestrato, dieci anni più giovane della zia e che trasudava testosterone da ogni poro. Allora avevo solo quattordici anni e il nuovo zio, simpatico e divertente, era proprio il massimo per un’adolescente, soprattutto per il modo in cui entrambi mi viziavano. A quel tempo il mio attaccamento agli zii era notevole. Passavo con loro quasi ogni fine settimana, perché ogni volta facevamo qualcosa di piacevole, e ci stavo meglio che con le mie amiche. Lo zio era pure un genio della matematica e mi spiegava con pazienza quello che non avrei mai capito, anzi la mia famiglia era felice e molto sorpresa dei miei voti a scuola e dei benefici della compagnia dello zio sul mio comportamento ribelle.
La vita continuò serena, almeno fino a quando ebbi all’incirca sedici anni e, si sa, a quell’età gli ormoni si scatenano, o almeno quello è sempre stato uno dei miei alibi preferiti.
Lo zio, poi, non era soltanto un bell’esemplare di palestrato, ma possedeva anche un acuto senso dell’umorismo e una fine intelligenza, per niente intorpidita dall’eccesso di muscoli. Non so come sia successo, oppure non lo voglio ricordare, ma durante una delle sue lezioni private ci siamo ritrovati avviluppati tra le lenzuola della mia camera a casa di zia Cloti. Mi bastò quella prima volta per lasciar perdere le uscite con quelle oche delle mie amiche e i loro romanzi infantili. Una prima volta onestamente indimenticabile.
Prima di iniziare l’università, a diciotto anni, traslocai definitivamente a casa di zia Cloti, perché mi era più comodo frequentare le lezioni partendo da casa sua. La vita mi sorrideva. Con lo zio facevo una coppia affiatata; inoltre, in compagnia dell’allegra e inconsapevole presenza di zia Cloti, i nostri incontri clandestini e furtivi erano anche più eccitanti.
Il tempo passa rapido, segnando il suo passo indelebile in modo equo. Zia Cloti iniziò a perdere lo smalto e a prendere chili, lo aveva inciso sui geni: il sedere monumentale della nonna si riproduceva sul suo senza nessuna pietà. Non c’erano dubbi su chi era la preferita dello zio, lui sosteneva che la mia pelle da ventenne gli era terapeutica e lo metteva al riparo dai malumori di Cloti, che in quel momento scoprì pure la menopausa.
L’anno della mia laurea, lo zio mi fece una proposta indecente e quasi irresistibile: fuggire insieme. Dopo un’analisi attenta e distaccata della situazione, mi accorsi che avrei dovuto affrontare un mucchio di problemi e responsabilità che non ero pronta ad assumermi. Ben sapevo che mio padre mi avrebbe tagliato i ponti, nuocendo gravemente alle mie possibilità di carriera e, ancora peggio, costringendomi a lavorare! Lo zio era consapevole che la mia famiglia non avrebbe mai accettato la nostra storia, soprattutto con zia Cloti di mezzo, che avrebbe gettato fango su di noi con la sua lingua biforcuta.
Pochi giorni più tardi, lo zio portò a casa una fiala miracolosa, dicendo che era una pozione, un incantesimo per il disinnamoramento che una fattucchiera gli aveva venduto assicurandogli che Nessuno rimane più lo stesso dopo averla assaggiata, i legami si rompono per sempre. Sul fatto che nessuno rimane più lo stessoaveva proprio ragione. Secondo lui la zia l’avrebbe ripudiato, cacciandolo via. e così sarebbe stato libero; in quel modo noi avremmo potuto vivere la nostra vita senza problemi, alla luce del sole, senza metterci la mia famiglia contro.
Durante il funerale della cara zia Cloti, lui interpretò benissimo il ruolo del marito triste e abbattuto, sorpreso dalla morte improvvisa della sua adorata Cloti che era il ritratto della salute. Il caso fu chiuso come un semplice infarto prodotto da eccesso di ginnastica, tranquillanti, dimagranti, trattamenti di bellezza, integratori, botulino e acidi vari e sedute con applicazione di sanguisughe per ossigenare il sangue, vale a dire tutto quanto Cloti inghiottiva e prendeva in quantità industriale in modo da non sembrare la madre di suo marito che era appena approdato ai quaranta.
Benché lui l’avesse giurato sulla croce e sulla tomba di Cloti, io non ero convinta che quella pozione fosse soltanto per il disinnamoramento.
Malgrado tutto, ero piuttosto giù in quel periodo, la zia Cloti era stata la mia zia preferita da piccola e questo non si dimentica mai, anzi, fu lei a regalarmi la mia prima Barbie, quella che ancora sta sul mio comodino, e mi aveva anche insegnato ad andare in bici e a farmi le unghie. Dimenticare certe cose sarebbe stato come tradire la sua memoria. Grazie a una delle mie vecchie e sciocche amiche, preoccupata per la mia depressione, conobbi un ragazzo della mia età con cui iniziai a frequentare la discoteca e a godermi tutto quello che mi ero persa durante l’adolescenza a causa di quell’innamoramento ostinato per lo zio.
Sono rari gli uomini che superano i quaranta anni degnamente. Anche con palestra e dieta, lo zio stava mettendo su pancia, perdeva i capelli, sempre più bianchi, per non parlare delle sue prestazioni sessuali calanti e di quell’angoscia da quarantenne che aveva finito per mandargli il morale sotto le scarpe, a causa del cambio di decade.
Quella notte, rientrati dal ristorante, lo notai stanco. «Ora ti farò una camomilla bella forte», dissi, «così ti riposi, sei troppo teso, amore». Lui accettò con un bel sorriso ed io afferrai con forza la fiala che conteneva la parte avanzata dalla pozione per il disinnamoramento che lui aveva dato a zia Cloti e che io avevo conservato in caso di necessità, per gli stessi nobili fini.
Povero zio! Aveva il cuore a pezzi.
Pubblicato nell'Antologia "Storie. Sostantivo femminile plurale", Nardini Editore
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