(Traduzione da Agata Sapienza del testo originale in spagnolo "No hay nada que hacerle", pubblicato nella Antologia "Storie, sostantivo femminile plurale", 2017)
Bea non ha dubbi, lui arriverà. Immerge il suo sguardo nel vino rosso rubino, mentre regge il calice in mano, all'altezza degli occhi. La sua visione, filtrata attraverso il vetro, le regala un bel tono rosa intenso. Perché è in ritardo? Si domanda Bea, senza pensare alle conseguenze se lui arrivassi.
Alla fine si è decisa per il vestito color senape. Non lo indossava da tanto e ora nota che la slancia e le dona. Le dona proprio, aveva detto la commessa quando lo acquistò. Bea ricorda sempre i dettagli sciocchi, il commento di una commessa, una frase pronunciata soltanto per vendere un vestito, lei sa che nella vita si è limitata semplicemente a godere delle inezie. I suoi capelli scuri risaltano sul vestito senape e i gioielli d’argento sono perfetti. Berto lo dice appena la vede, semplicemente perfetta.
Bea e Berto, B&B, Bed&Breakfast, un acronimo che riassume una vita. Un tempo la faceva pure ridere. Ora no. Entrambi lo sanno. E lei sa anche che Berto preferisce che l'ospite non arrivi mai, anche se è sicuro che Bea voglia ritrovarlo. Quella storia lontana fra di loro… Era rimasto qualcosa? Quando lui, perduto amante, l'aveva chiamata, Bea aveva creduto di percepire qualcosa nel tono della sua voce, un desiderio. Bea è impaziente, ma deve mostrarsi rilassata, allegra, cenare e festeggiare il suo compleanno.
Tin, tin, tin... La forchetta contro il vetro del bicchiere chiama il brindisi... tin, tin, tin. Cinquanta volte tin, tin, tin, pensa Bea e vorrebbe fermare Berto che batte contro il cristallo maledetto per attirare l'attenzione degli ospiti.
Bea sposta il calice, guarda il volto dei suoi amici senza il filtro del vino. Chi sono? Cosa sono diventati? Cosa volevano essere? Tutte persone che si aggirano intorno a un'età senza età, una generazione tiepida, né di qua né di là, prodotto degli anni novanta, yuppies arrugginiti, le "Material Girls" di Madonna. Li vede ridere e sorridere, inseguono con determinazione una giovinezza che sfugge, che si rifiuta di essere catturata, irraggiungibile. Genitori che non smettono di comportarsi come figli, infantili. Che cosa ha fatto lei di diverso per giudicare gli altri? Cercare un'alternativa. Forse in passato aveva concepito quella breve storia come un'alternativa? Sì, lo aveva fatto e sapeva di aver sbagliato. L'alternativa nasce da se stessi, non da altri, non da un uomo.
Al piano superiore i bambini giocano. Arrivano intense le loro urla. Gli hanno vietato il pigiama party e la loro vendetta è contenuta in quelle urla stridenti. Al pian terreno lei, suo marito e i suoi amici celebrano il suo brillante e splendido mezzo secolo.
«Cinquant’anni non sono nulla» dice Flori. L'ha detto prima e lo ripete ancora una volta, Flori pensa di essere divertente. Non si guarda allo specchio, Flori?
Tin, tin, tin. Le voci non tacciono. Pat, con i toni acuti della sua voce stridula copre le altre più gravi. Tutti con i loro nomignoli insopportabili, come se non ci fossero nomi interi: Bea, Berto, Pat, Nico, Sofi, Flori... Berto irradia felicità, è una farsa? Sembra aver dimenticato che, prima o poi, lui suonerà alla porta.
Un pianto interrompe la conversazione e scende le scale, si avvicina con i piedi che corrono svelti. Simo, la figlia di Pat e Nico, piange perché Susy l'ha quasi soffocata con un cuscino. Simo piange incessantemente e urla. Bea non la regge, il suo pianto le risulta intollerabile. Per fortuna, Nico scopre il metodo per calmarla: si fa un selfiecon Simo e le fa vedere come pubblicarlo su Facebook. Nico esiste grazie al «Libro dei volti», da lì passa e finisce la sua vita.
È questo ciò che abbiamo sognato?
Bea si porta il calice alle labbra e lo sfiora appena. Ruota la testa e guarda la sua immagine riflessa sul vetro della finestra. Era questo? Sbatte le palpebre e cerca di nascondere le lacrime che si accumulano nei suoi occhi.
Mari, la madre di Susy, interviene per difendere la figlia: «Susy fa queste cose perché soffre di iperattività, ADHD, non è cattiva». Forse è soltanto viva, non soffre d’iperattività, della sindrome di Deficit di Attenzione che serve per avere un'impegnativa e impasticcare sua figlia, a soli dieci anni gioca con una voglia selvaggia. Arriva il trattamento tranquillante lenitivo per Susy: un telefono in mano, ora rimane ferma e "naviga" tra le quattro mura, nei cinque pollici dello schermo.
Tin, tin, tin. Ancora la forchetta di Berto contro il cristallo, vorrebbe annunciare la torta, Bea lo sa. Berto ama annunciare idiozie, una torta, una notizia noiosa, tutto quello che sente, banalità. Lei sa che più tardi vorrà donarle un sesso indimenticabile, perché Berto preferisce ignorare e non accettare che non c'è nulla d'indimenticabile fra loro, le emozioni sono scomparse. Berto posa una mano sulla pelle nuda della spalla di Bea, lei riconosce il suo tocco che non le suscita più nessuna sensazione. Berto insiste, ritiene che dieci anni siano troppi, che lui, l'invitato mancante, non tornerà, non busserà alla porta quella notte.
«Non manca un ospite?» chiede Nico. Il silenzio lo avvolge, pesante.
«Arriva in ritardo, teniamo un pezzo di torta per lui, non si offenderà, vero, Bea?» dice Berto.
«Nessun problema» risponde Bea indifferente.
I ragazzi ora sono tranquilli. Non si sentono più le loro grida di gioia. Guardano i loro telefoni e iPad abbagliati dalla luce dello schermo, si sono stancati di giocare per un paio d'ore in un contesto tridimensionale e sono tornati alla quiete delle immagini. Qualcuno è colpevole di questo, come saranno domani, quando cresceranno? Che adulti saranno? Peggio di loro?
Finalmente, Berto annuncia la torta. Bea vuole finire di festeggiare quanto prima, non vuole sentire cantare il buon compleanno, seguito da quell’orribile "Api Burdei!", lei vuole sentire il suono del campanello e svegliarsi in una vita magicamente nuova.
Le sue figlie sono intorno a lei. Una per lato.
Berto le mette la torta di fronte. Una magnifica torta bianca, con le candele accese, decorata con cascate di cioccolato che feriscono la meringa.
«Tre desideri!», ricorda Emilia (Emi) sua figlia.
Tre desideri, Bea si ripete. Solo tre... ne avrebbe dieci, venti di desideri. Chiude gli occhi e si concentra. Qualcuno esclama «Troppe richieste!» Bea riconosce la voce di Beppe. Pensa un attimo di chiedere che Beppe crolli morto sotto il peso della sua idiozia, ma avrebbe sprecato un desiderio per niente. Un giorno morirà, si dice, come tutti.
* Il primo desiderio non vuole più un compleanno così, non lo regge.
* Il secondo: cambiare tutto. Tornare a essere se stessa.
* Che lui arrivi, è il terzo.
Uno spreco di desideri, dovrebbe essere una realtà non desiderata, che si fa, che si cerca e basta. Soffia le candeline marroni che formano il numero cinquanta.
Tin, tin, tin. Baci. Evviva! Auguri! Il suo sguardo s'incrocia con quello di Sofi. Si capiscono al volo «Non c'è nulla da festeggiare» si confidano i loro occhi. Sofi guarda l'orologio. «È tardi», dice a Bea con lo sguardo. Domani Sofi correrà tra le braccia del suo amante, è quasi felice e lo confessa con il suo sorriso.
«È amore?» le aveva chiesto una volta Bea.
«No, o sì, non lo so. Non ho altra scelta». Con un idiota come Beppe, non ha altra scelta. Invece la possibilità esiste, ma richiede uno sforzo maggiore, prendere la vita in mano, fuori dalla zona di comfort, abbandonare lecomodità.
Perché abbiamo fatto questa vita? Quando ci siamo traditi? Bea detesta rassegnarsi quando c'è ancora aria da respirare, si odia.
Berto decide di darle il suo regalo in pubblico, ama mettersi in mostra. La collana d’oro bianco che Bea aveva visto in gioielleria. Inutile. Raccoglievano cose innecessarie, abbondanze, inutilità. A cosa serviva quella collana? A riempire la cassetta di sicurezza e il patrimonio delle loro figlie?
«Berto si è assicurato la notte!» esclama l'idiota di Beppe.
Lo champagne nei bicchieri, il brindisi. Cin cin. I calici si scontrano e Bea filtra di nuovo la scena con il vino, frazionata con le bollicine. Intorno a lei nove adulti e dieci ragazzi, ogni coppia si era riprodotta due volte. Due per cinque, dieci.
«Che donna fortunata!» dice Pat esaminando la collana.
Fortunata? Bea sorride e tace, Berto la guarda e sa cosa sta pensando. Le mette la collana intorno al collo e la bacia sulla guancia, ma sa che lei non c'è, bacia quella guancia indifferente e fredda.
Berto pensa di aver fatto di tutto per renderla felice: la casa, le due macchine, i viaggi, i bambini, il cane. Tutto esiste perché lei esiste, ma Bea è andata via tanto tempo fa e lui non trova l’errore, non capisce.
«Strano che non arriva» dice Berto guardando l'orologio.
«Sarà con una delle sue tante amanti» l’idiota di Beppe e il suo mono pensiero sessuale del suo mono neurone inutile.
Berto sorride, la considera una mini vendetta contro Bea.
«Non me lo ricordo» dice Pat.
«Non l'hai conosciuto» risponde Sofi, enfatizzando la frase con un gesto della mano «Altrimenti te lo ricorderesti».
Beppe, suo marito, non apprezza e Bea ride dentro di sé.
Mettono un po’ di musica. Michael Jackson. Nico si alza con un salto, gli piace. Imita il Moonwalk da una vita e non si stanca di offrire lo stesso spettacolo patetico. Pat celebra il suo maritino. Bea intuisce che questa staticità, quest’immobilità è una delle cause della sua calma e tranquilla esasperazione. Il ripetersi delle stesse situazioni, degli stessi discorsi, delle stesse immagini identiche, da anni.
Bea pensa alla parola tradimento. Il peggior tradimento di tutti, quello verso se stessa, perché credeva di avere tempo per cambiare. In fin dei conti, si tradisce sempre se stessi, anche quando si tradisce l'altro. Guarda i suoi amici e pensa che tutti hanno tradito i loro desideri, sebbene non nella stessa misura. Alcuni sono rassegnati. Nico con il suo lavoro in banca, un posto sicuro, i suoi sogni di musicista archiviati in una chitarra scordata, prosegue con la sua triste pantomima di Michael Jackson fra applausi e risate. La pancia sale e scende. Simo, sua figlia, scatta foto «per Facebook, papà e questa per Instagram». Noi esistiamo su Facebook, nelle foto di Instagram, nei pareri condensati di Twitter, un’esistenza virtuale. Un ricordo fugace per la lapide.
Bea spera che almeno squilli il telefono.
È tardi, gli ultimi ospiti se ne vanno poco dopo le due. Sofi l'abbraccia per incoraggiarla a non perdere la speranza. Speranza?
Le ragazze si sono addormentate. Nella sala da pranzo c'è un miscuglio di bottiglie, piatti, avanzi di torta appiccicosi e sporcizia.
Berto ripete il suo tin-tin-tin per proseguire con i suoi annunci.
«Preparati a una notte di fuoco» sussurra avvicinandosi a lei.
Bea sembra assente, non lo riconosce. Berto è allegro, un po’ ubriaco.
«Ti aspetto» dice lui con falso tono sensuale, sa che Bea non salirà le scale verso la camera da letto e attenderà che lui russi profondamente.
Bea guarda verso l'esterno con tutto il suo essere, aspetta. Berto sa che non c'è modo di trattenerla e sale al piano di sopra a dormire un brutto sogno che gli lascerà la bocca appiccicaticcia e la lingua asciutta.
Finalmente sola, Bea indossa il cappotto crema che si abbina benissimo con il senape del suo vestito ed esce fuori in giardino. Solo casa sua ha un piccolo giardino davanti e uno grande dietro. Le altre case vicine si chiudono verso l'interno, hanno soltanto il giardino posteriore e piccole finestre che si affacciano sulla strada, ma per Bea la vita è fuori, ha sempre voluto avere finestre sulla strada. Fuma l'aria fredda della notte.
Tutto-quello-che-non-abbiamo-fatto-finora-non-lo-faremo-mai-non-c'è-nulla-da-fare.
È il suo mantra depressivo, lo pronuncia con i trattini. Non c'è nulla da fare. Soltanto sopportare.
Guarda dalla finestra verso l'interno della sua casa, la sua casa minimalista e radical chic come lei. Chiude gli occhi, la schiena appoggiata contro il muro della facciata in pietra e riflette: quali erano i miei sogni? L'età si piazza davanti a lei come un muro tra ciò che era possibile e ciò che ormai è impossibile e irraggiungibile.
Il telefono vibra nella tasca del cappotto. Un messaggio s’illumina. «Mi dispiace. Buon Compleanno». Basta, soltanto quello. Bea si dice che comunque non si aspettava che lui arrivasse, alcune persone non arrivano mai e sono solo una buona scusa per continuare ad aspettare.
Si abbraccia. Incrocia le braccia sul petto e stringe con forza. È da tanto che non sente il calore di un abbraccio vero, che non sente amore, che non si sente sopraffatta dal sentimento, dalla passione. Ama le sue figlie (veramente le ama?) in modo stanco (egoista).
Sa che Berto ormai dorme il suo sonno alcolico. Si avvicina fino al cancello della recinzione e guarda la strada di case ordinate, scarsamente illuminata da una luce flebile. Il pianto disperato al suo interno si condensa in una sola lacrima scintillante sulla guancia, che scorre dolce prima di precipitare sul cappotto.
«Buon compleanno» mormora Bea. E basterebbe solo avere il coraggio di attraversare quel piccolo cancello del giardino. Avere il coraggio.
Versione in spagnolo http://andreazurlo.wixsite.com/andreazurlo/post/no-hay-nada-que-hacerle
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