GRANADA
Luglio 1841
La vide bere alla fonte. Si tratteneva da un lato i capelli, neri come i corvi che solcavano il cielo della sierra; una ciocca le sfuggì, si attaccò al collo e serpentelli d’acqua scivolarono nella scollatura.
Fernando le porse la borraccia, ma lei gli piantò addosso due occhi che parevano tizzi di carbone, si asciugò la bocca col polso e scosse la testa. Poi scappò a piedi scalzi reggendosi la gonna e sparì dietro gli alberi di sughero.
Quella visione lo tormentò per tutta la giornata mentre contrattava al mercato del bestiame, controllava alla pesa e pagava i vitelli nella piazza di Granada. Quando anche il sole fu stanco, risalì a cercarla alla fontana, ma trovò solo un gruppo di zingare anziane che si girarono a guardarlo sospettose. Tornò ancora la mattina dopo e attese, seduto su un sasso, come un gatto in agguato.
Appena la vide arrivare con la brocca appoggiata su un fianco si alzò per aiutarla e tese le mani al recipiente, ma lei lo ritirò scontrosa.
«Scusate, volevo solo... ».
Lei emise parole incomprensibili.
«...Tuo nome?» riprovò lui. La ragazza non capiva, ma una voce di uomo da lontano chiamò:
« Asuncion adelante!».
Mentre la mezzina si riempiva brontolando dal fondo, i due si guardarono finché l’acqua finì per traboccare.
«Asuncion, donde... ?» chiese il ragazzo.
Lei fece un cenno con la testa a indicare oltre il crinale.
«Tuo padre?».
Lei annuì, poi azzardò: «Tu donde?».
«Italia, magnana torno Italia» e mentre lo diceva, prese la decisione.
Il padre di Asuncion, re di un gruppo di nomadi, si era stabilito da poco sulle alture della sierra. Ricevette Fernando fuori dalla sua tenda, in piedi, la mano scura ferma sul manico del coltello. Quando capì che quella figlia, la più bella tra tutte, poteva essere barattata con tre vitelli grassi, sorrise e, al centro della bocca, gli brillò un dente d’oro.
Il giorno seguente Asuncion si teneva stretta a Fernando in cima ai fianchi dondolanti del cavallo: li seguiva una piccola mandria in processione, ben assicurata con una corda.
Il corteo nuziale percorse strade bianche di polvere, avvistò il luccicore del mare, attraversò la Francia, arrancò per le salite, venne inghiottito dai vapori delle pianure. Procedette silenzioso, ascoltando solo il fremito dei muscoli delle bestie e gli zoccoli che battevano sempre più lenti. Dopo giorni e giorni apparve una collina illuminata di ginestre: fu il solo benvenuto del paese a quel corteo sfrontato.
POGGIO A CAIANO
La bella Asuncion della Sierra Morena fu la sposa più seducente che si fosse mai vista dalle parti di Poggio a Caiano.
Le donne ne parlavano al fiume: «Quante arie la Principessa… ma chi si crede di essere... sempre una zingara è!» poi di colpo si zittivano quando lei arrivava altera con la cesta sulla testa.
Più indulgenti gli uomini che non potevano fare a meno di ammirare l’insolita bellezza della ragazza.
Lei, nonostante il portamento fiero, si scioglieva in risate sonore, non si risparmiava nel lavoro ed era sempre pronta a dare una mano. Non le ci volle quindi molto a rassicurare le donne del paese che presto non la esclusero più dalle loro chiacchiere.
«Ripeti, Assunta: no ‘cabaglio’... CAAA...VAAA... LLLO!» e a quel ritmo battevano i panni sul lavatoio.
«CAAA...VAAA... GLIO... » ripeteva lei mentre strofinava energica il sapone sulle lenzuola.
«Aa... sssun ... ta! Ripeti a modo!».
«Aa... sssun... sss.!» ma la lingua premeva ancora troppo contro i denti e allora le risa si confondevano allo sciabordio dell’acqua tra le rocce.
Il primo figlio di Fernando e Assunta, Giovanni, ereditò dalla madre gli occhi e l’esuberanza. Crebbe robusto e un guizzo di sangue meticcio lo distingueva dai coetanei. Amava la musica e la sera tirava tardi nell’aia, abbracciato al mantice della fisarmonica, fino a che non si spalancava qualche persiana: «O ti cheti o ti rovescio un secchio d’acqua! Noi si lavora domattina, si vuol dormire!».
Ma anche lui era un gran lavoratore: fin da piccolo aiutò il padre nel commercio del bestiame, lo accompagnava ai mercati e a trattare nelle botteghe. E stava pure dietro ai fratelli: Carletto e Guido lo seguivano dappertutto, mentre la Caterina lo aspettava a casa per giocare. Lui la rincorreva, se la prendeva sulle ginocchia sul muretto dell’orto e la strapazzava di solletico. Allora ridevano tutti e due mentre lei, inarcata all’indietro, si dimenava come un’anguilla.
Fu precoce in tutto Giovanni: a sedici anni si innamorò di Concetta quando la vide pestare l’uva nel tino dopo la vendemmia. Pigiava e saltava a tempo che pareva ballare, tenendosi i lembi della gonna zuppa di mosto.
A diciotto anni si sposarono e la loro famiglia aumentò di anno in anno, come la pasta di pane sotto il panno a lievitare.
Breve Biografia
Nicoletta Manetti è nata a Firenze. Ha svolto la professione di avvocato civilista. Insegna danza classica, dipinge e scrive.
Ha partecipato a concorsi di prosa e di poesia, ottenendo pubblicazioni su antologie e diversi riconoscimenti.
Ha pubblicato nel 2014 due racconti nell'antologia “Tagli” a cura di Marco Vichi, Felici Editore e uno nell’antologia “In piedi” di SoleOmbra Edizioni.
Nel 2014 è uscita la raccolta di poesie “Confidenze a un canarino” (Teseo Editore) che ha vinto il secondo premio Città di Pontremoli 2016.
Con SoleOmbra Edizioni ha pubblicato nel 2015 il primo romanzo, “VICO - Quando torno ti porto un fiore”.